
Avvicinandomi a descrivere un alimento come quello di oggi, l’olio extravergine di oliva, così caratterizzante per la mia terra, mi ritrovo come davanti ad un grosso tesoro, nascosto dal tempo che si deposita come un custode troppo egoista e ti sfida a sfidarlo. Eppure, dovevo solo raccontare “qualcosa” …eccomi invece qui a togliere il camice e indossare i panni di un archeologo, di uno storico o di un turista per caso.
Tutto ha avuto inizio da una delle tante passeggiate domenicali a Gallipoli, quando il nostro piccolo ometto inizia a chiedere con insistenza :”Mamma, mamma, il frantoio ipogeo”.
E già, cosa vuoi che sia?
Dopo qualche minuto, eccoci sottoterra, nel senso buono, all’interno di ambienti scavati interamente nel carparo pochi metri al di sotto del manto stradale, ambienti ricchi di fascino e mistero, testimoni di un passato storico e commerciale della città, esclusivamente legato all’olio.
Sono due a Gallipoli i Frantoi ipogei, quello di Palazzo Granafei, di proprietà dell’Ass. Gallipoli Nostra, e che si estende per circa 200 mq sotto i palazzi di via De Pace e quello di Palazzo Briganti, visitabile solo su prenotazione.

A dire il vero, il Salento presenta un reticolo sotterraneo di “trappeti” in grotta, alcuni dei quali sono stati ritrovati all’ interno di castelli e palazzi e di cui non esiste ancora un catasto ufficiale.
D’altra parte, in epoche remote, abitacoli rupestri offrivano un sicuro rifugio per gli abitanti del luogo che si mettevano al riparo da invasioni barbariche, o in età bizantina utilizzati come luoghi di culto e solo successivamente questi ambienti furono riadattati per la lavorazione delle olive e l’estrazione di olio.
Tutto il vicino Oriente, in realtà, custodisce testimonianze simili, come ha dimostrato negli anni ’80 una campagna archeologica nei pressi di Tel Aviv, dove, secondo gli studi condotti dal dr. Schafer-Schuchardt, sono state rinvenute un centinaio di presse di fattura filistea (1000 a.C.), per non dimenticare la diffusione anche in Grecia e nell’ attuale Croazia.
Il principio che ha guidato nel corso dei secoli il mantenimento dei frantoi in luoghi sottoposti lo ritroviamo già in De re rustica (I sec. d.C.) dell’agronomo romano Lucio Giunio Columella, secondo il quale <<I frantoi e i magazzini da olio devono esser caldi poiché ogni umore al calore si scioglie e si addensa al freddo>>. Questa temperatura doveva essere compresa tra i 18° e i 20 °C in quanto venivano favoriti due passaggi fondamentali nella lavorazione delle olive, il deflusso dell’olio quando la pasta doveva esser sottoposta al torchio, e la separazione dell’olio dalla “sentina” quando poi avveniva il suo deposito all’interno di pozzi di decantazione.
Questo prezioso alimento è diventato, nei secoli, basilare nella dieta mediterranea, grazie alla sua equilibrata composizione, che vede prevalere gli acidi grassi monoinsaturi, soprattutto l’acido oleico. Queste caratteristiche chimiche rendono l’olio d’oliva particolarmente adatto a proteggere vasi e cuore, nonché in grado di abbassare i livelli di colesterolo “cattivo”, favorisce la digestione e difende le cellule dall’invecchiamento.
L’olio extravergine è quello meno acido,
in cui l’acidità è inferiore all’1%.

Parallelamente alla lavorazione dell’olio, dovette fiorire il suo commercio, di cui, per tornare a Gallipoli, il Porto della “città bella” ebbe un ruolo da protagonista.
Notizie storiche negli Archivi Ufficiali si ritrovano solo successivamente al 1484, anno dell’assalto da parte dei Veneziani a Gallipoli, che fu saccheggiata proprio di olio in deposito nella città.
Notizie scritte si hanno a partire dal 1503, anno in cui nel porto salentino venivano imbarcate circa 3210 some di olio (1 soma è pari a 154 lt) con destinazione Venezia.
Fu nel corso del XVII sec che Venezia iniziò ad avanzare pretesa di esclusività per l’acquisto dell’oro liquido nostrano – gli unici a non esserne contenti furono i Genovesi.
Nel 1774 Venezia insediò a Gallipoli un vice Consolato per seguire la faccenda più da vicino. Il commercio dell’olio ormai costituiva una pingue entrata per la città e per le Reali Finanze Borboniche.
Una annotazione del Barone di Eisenbach, a Gallipoli nel 1767 riporta che, nell’anno precedente dal porto della città erano partite 1395 some di olio destinato a tutto il Regno di Napoli.
Da Gallipoli – e per il mondo- partiva la “Mercuriale” del prezzo legale dell’Olio d’oliva per tutto il Regno, mentre a Napoli nasceva nel 1780 una vera “Borsa degli olii di Gallipoli” con validità in tutta Europa.
La Borsa degli Olii fu abolita successivamente con decreto Reale dopo oltre un secolo, nel marzo del 1895.
Le Cultivar Sin dall’epoca romana, nel Salento si coltivano due cultivar principali di ulivo: l’ “Ogliarola”, chiamata anche Ogliarola Leccese o Salentina, e la “Cellina di Nardò”,detta anche Saracena.
Relativamente alle caratteristiche, che avrete modo di approfondire oggi sul sito del Calendario del Cibo Italiano, posso dirvi che la prima è una varietà più gentile e meno resistente a intemperie e malattie, la seconda è più rustica con alte rese di raccolto, ma poca resa in olio, nonché precoce nella maturazione e con un gusto più piccante che lo rende adatto nei condimenti a crudo.
Esiste una terza varietà, il Leccino che dà un olio più delicato e profumato, ottimo in preparazioni più ricercate.
Oggi si parla anche di biodiversità di olive pugliesi e se ne contano a decine!Parliamo ad esempio della Butirra di Melpignano, la Carmelitana,la Cerasola, la Ciddina, la Cima di Bitonto,la Cima di Calabria, la Donna Giulietta e tantissime altre, tutte da custodire. Ma questa è un’altra storia, come altra storia è il presente assillato da Xylella f.

La ricetta che ho scelto per la GN dell’olio extravergine d’oliva, è legata al territorio pugliese, in particolare a quello salentino e costituiva anche la dieta degli operai del frantoio durante i mesi autunnali. Per non dilungarmi eccessivamente, non vi ho descritto le condizioni border line nelle quali queste persone dovevano prestare la loro manodopera, vi basti pensare che per tutto l’autunno e l’inverno si allontanavano dal frantoio solo un paio di giorni, nelle feste comandate, sia per i ritmi lavorativi molto intensi sia per il fatto di dover andare incontro ad un lungo processo di pulizia personale che vi lascio solo immaginare, tanto era unta la loro pelle.
I pasti venivano preparati all’esterno ed era cura del padrone del frantoio farli consegnare quotidianamente. Oltre i legumi, erano di gran consumo diverse verdure di stagione, tra cui:
RAPE ‘NFUCATE
( Rape affogate)

Ingredienti per 4/6 persone
2 kg di rape
1 spicchio d’aglio
peperoncino
olio extravergine d’oliva (cv Ogliarola) q.b.
sale q.b.
Mondare le rape, prendere le foglie tenere e le cimette, lavarle, sbollentarle. In un tegame mettere l’olio, l’aglio e, quando l’aglio sarà imbiondito, buttare le rape e finire di cuocere a pentola chiusa col coperchio*. A cottura ultimata spolverare di peperoncino tritato finissimo.
* affogate si riferisce all’utilizzo del coperchio in fase di cottura, come se fosse uno strumento messo per “affogare” più che per cuocere 😉
Fonti
- De Rossi, Il contributo dei Porti Salentini allo sviluppo economico della Nazione Ed. Martano 1969
- Barletta, Guida pratica ai Trappeti sotterranei nel Salento, Capone Editore 2010
- L. Lazari, Cucina Salentina, ed. Congedo
- AA.VV., Cultura che nutre, ed. Giunti Progetti Educativi